Thich Nhat Hanh

affettuosamente chiamato THAY (in vietnamita, maestro)

compilata da A.Rocco

Thich Nhat Hanh, nato in Vietnam nel 1926, in esilio in Francia dal 1966, è un monaco buddhista zen, scrittore, poeta, maestro di riconciliazione, di pace, di amore.

Ho scritto questa poesia nel 1964, durante la guerra. Anch’io, come voi, ho sofferto molto, ma la trasformazione si stava già compiendo proprio allora, nel bel mezzo della guerra. Non è troppo tardi. So che anche voi potete farcela”.

Messaggio
La vita ha lasciato le sue impronte sulla mia fronte,
ma questa mattina sono ritornato bambino.

Il sorriso che traspare fra foglie e fiori è tornato per portar via le rughe
proprio come la pioggia cancella ogni traccia sulla sabbia.
Ancora una volta inizia il ciclo di nascita e morte.
Cammino sulle spine, ma senza incertezze, come tra i fiori.
Tengo alto il capo.

Le rime fioriscono tra il frastuono delle bombe e dei mortai.
Le lacrime che ho versato ieri sono diventate pioggia.
Mi sento calmo mentre ne ascolto il suono sul tetto di paglia.
L’infanzia, mia terra natia, mi chiama
e la pioggia scioglie la mia disperazione.

Sono ancora qui vivo, in grado di sorridere, quieto.
O dolce frutto maturato dall’albero della sofferenza!
Portando il cadavere di mio fratello,
attraverso i campi di riso nell’oscurità.

La terra ti stringerà con forza tra le sue braccia, mio caro,
cosicché domani rinascerai come fiori,
quei fiori che sorridono sereni nel campo al mattino.
Ora non piangi più mio caro,
abbiamo attraversato una notte troppo profonda.

Stamane mi inginocchio nell’ erba
nel riconoscere la tua presenza.
Fiori che offrono il meraviglioso sorriso dell’indicibile
mi parlano in silenzio.

Il messaggio,
il messaggio di amore e comprensione
certamente è arrivato fino a noi.

(Thich Nhat Hanh, Saigon 1964)

Nel 1966, negli Stati Uniti, Martin Luther King, dopo averlo incontrato, propone che sia candidato al premio Nobel per la pace.

Nel 1996, in seguito alla pubblicazione di “ Buddha vivente Cristo vivente” (edizioni Neri Pozza), il centro Francescano Internazionale di Studi per il Dialogo tra i Popoli gli attribuisce il Premio Internazionale “San Francesco e Chiara d’Assisi”.

Non avere paura di amare. Senza amore la vita è impossibile. Ama per mezzo del tuo modo di camminare, di mangiare, di sedere, di parlare. Impara ad amare te stesso e gli altri in maniera corretta. Il Buddha ci offre una luce con cui illuminare la vera natura del nostro amore, ci offre modi concreti di praticare nella vita quotidiana, modi che rendono meraviglioso il fatto stesso di amare. Questo mondo ha un estremo bisogno di amore. Sono sempre più convinto che il futuro Buddha, Maitreya, il Buddha dell’amore, non sarà una persona sola, ma si incarnerà in una comunità, una comunità di amore. Abbiamo bisogno del sostegno reciproco per costruire una comunità in cui l’amore sia qualcosa di tangibile. Potrebbe essere questa la cosa più importante che possiamo fare per la sopravvivenza della Terra. Abbiamo tutto, tranne l’amore. Dobbiamo rinnovare il nostro modo di amare, dobbiamo imparare ad amare davvero. Il benessere del mondo dipende da noi, dal modo in cui viviamo la nostra vita quotidiana, dal modo in cui ci prendiamo cura del mondo, e dal modo in cui sappiamo amare.” (da: Insegnamenti sull’amore, pagina 131- ed.Beat – 2014)

All’ età di 16 anni entra come novizio nel monastero zen Tu Hieu, nella città imperiale di Hue, nel Vietnam centrale.

Il mio addestramento di novizio buddhista consisteva in un piccolo libro: “ Cinquanta versi per la vita quotidiana”. Dovevamo praticare con intelligenza in modo da poterne comporre altri, secondo le nostre necessità. Quei versi ci insegnavano come essere presenti con la mente per osservare noi stessi quando mangiavamo, camminavamo, parlavamo, eravamo sdraiati, lavoravamo. Per esempio:

L’acqua fluisce sulle mie mani.

Possa io usarla abilmente per preservare il nostro prezioso pianeta”.

Non è semplice seguire la via del ritorno alla nostra mente. La mente è come una scimmia che dondola da un ramo all’altro. Non è facile acchiappare una scimmia. Sarebbe più facile spararle, ma l’obiettivo non è uccidere, minacciare o costringere la scimmia: lo scopo è sapere dove andrà in modo da restare insieme a lei.”( L’arte del cammino e della pace, Mondadori)

Molto giovane si impegna nello studio e nella ricerca per comprendere le radici stesse del buddhismo. Inizia a scrivere articoli su riviste nazionali per far sapere che il cambiamento sociale può essere fondato sull’impegno, la responsabilità, l’amore.

Pratica con rigore la via della presenza mentale nella vita quotidiana, e si prepara a dimostrare che la saggezza millenaria del buddhismo può dare un contributo importante al cambiamento sociale in Vietnam, partendo dalla trasformazione di se stessi.

Se i nostri talenti e le nostre abilità non sono ancora sviluppate, come potremmo salvare gli altri? Se gli aspiranti eroi non hanno ancora trovato se stessi, sono tentati di prendere a prestito le armi del mondo – denaro, fama, potere – per combattere le proprie battaglie.” (L’arte del cammino e della pace, Mondadori)

Nel 1961 accetta una borsa di studio di due anni presso l’università di Princeton negli USA, dipartimento “Religioni comparate”, e vi insegna letteratura vietnamita.

Ritorna in Vietnam nel 1963, richiamato dalla tragica situazione di guerra, ed agisce

offrendo al popolo vietnamita l’energia di una forma “impegnata” di buddhismo. Nel 1965 fonda l’ Università Van Hanh e la Scuola dei Giovani per il Servizio Sociale, per insegnare l’arte di aiutare gli altri a partire dalla capacità di vedere con chiarezza, sentire in profondità e trasformare prima di tutto se stessi.

Durante la guerra noi giovani buddhisti ci organizzammo per dare una mano alla ricostruzione dei villaggi distrutti dai bombardamenti. Molti ci lasciarono la vita, non solo sotto una bomba o colpiti da un proiettile, ma perché alcuni ci sospettavano di stare dall’altra parte. Ma la nostra comprensione includeva la sofferenza di entrambe le partii, dei comunisti e degli anti-comunisti. Cercavamo di rimanere aperti a tutti di capire ugualmente le due fazioni, di essere uno con loro. Per questo non ci siamo schierati con nessuno, mentre il resto del mondo si spaccava in due. Volevamo la riconciliazione, non la vittoria.” (da: L’amore e l’azione, Ubaldini ed.)

Parla anche al cuore degli americani, e di tutti noi, ed agisce perché cessi la guerra.

Il fanatismo, l’ignoranza, l’avidità, la discriminazione, l’odio: sono questi i veri nemici dell’uomo, non l’uomo stesso. Nella nostra sventurata patria noi stiamo tentando disperatamente di convincere che non si deve uccidere l’uomo. Uccidete, vi prego, i veri nemici dell’uomo che sono dappertutto nel nostro stesso cuore e nelle nostre menti” (dalla lettera a Martin Luther King, Vietnam, la pace proibita, Vallecchi ed, 1967)

Nel febbraio del 1966, poco prima di lasciare il Vietnam, crea il Tiep Hien, l’Ordine dell’Interessere, un’espressione di” Buddhismo impegnato”, fondata sulla pratica di 14 addestramenti alla consapevolezza. Sono linee guida che aiutano a trasformare tendenze negative, come il fanatismo, la visione ristretta, la rabbia, l’odio.

Costretto all’esilio, nel 1966 trova asilo in Francia. Crea la delegazione buddhista per la Pace e partecipa al tavolo dei negoziati internazionali per gli accordi di Pace, firmati a Parigi nel 1973.

Nel 1971 a Parigi, fa conoscere la sua visione per la protezione del pianeta: si chiama “Dai Dong”, “ la grande fratellanza”, il progetto destinato a risvegliare la consapevolezza che abbiamo un solo pianeta, e che dobbiamo imparare a viverci insieme, e a non distruggerlo.

Si adopera per aiutare i profughi (boat people) dal Vietnam, e nelle sue visite negli USA conduce ritiri di consapevolezza per veterani della guerra in Vietnam.

Durante l’ultimo giorno di un ritiro di consapevolezza, tenuto nel Massachusetts con la partecipazione di duecento americani, Jon Kabat-Zinn lesse una poesia, frutto della sua introspezione,che proclamava : “ La guerra del Vietnam finisce oggi “. Eravamo nel 1987 e da allora ho iniziato a condurre ritiri per i reduci. Voglio che essi comprendano quanto sono importanti.

Anch’io sono un reduce. Durante la guerra del Vietnam ho perso molti amici, molti fratelli e sorelle, e ho patito grandi sofferenze…Ho praticato al fine di trasformare la mia sofferenza e condividere la mia comprensione con gli altri. Non provo più alcun sentimento di rancore. Nel mio cuore ci sono pace e compassione, e ciò mi permette di aiutare gli altri.

La trasformazione è la chiave di volta. Dando solo un’occhiata all’oceano della sofferenza, ci rendiamo conto che è immenso. Ma se ci voltiamo scorgiamo la terra.Trasformare i nostri cuori proprio nel momento presente è possibile.”( da l’ amore e l’ azione, Ubaldini)

Nel 1983, in collaborazione con Sister Chan Khong, fonda in Francia, presso Bordeaux, “PLUM VILLAGE”, un monastero e centro di pratica per laici di tutto il mondo.

Ciò di cui abbiamo bisogno non è un‘ideologia o una dottrina per salvare il mondo. Abbiamo bisogno di un risveglio che possa restituirci la nostra forza spirituale. Ciò che ci manca è la consapevolezza di ciò che siamo, della realtà della nostra situazione. Siamo lanciati al galoppo su un cavallo che non controlliamo più. Abbiamo bisogno di una nuova cultura in cui gli esseri umani siano incoraggiati a riscoprire la loro natura più profonda.

Le religioni devono essere consapevoli della necessità di risvegliarci alla nostra vera umanità. Le chiese devono operare in modo da ricostruire comunità in cui si possa vivere un ‘esistenza integra e salubre. Devono farci capire che la vera felicità non consiste nel consumo di beni materiali pagati a prezzo di sofferenze, carestie e morte. La vera felicità consiste in una vita illuminata dalla comprensione dell’interdipendenza di tutte le cose e dal riconoscimento della profonda responsabilità a essere davvero noi stessi e aiutare il prossimo.

Lo zen è una via per giungere alla vera umanità, e noi dobbiamo onorare tutte le altre tradizioni che mirano a questa chiarezza.”(da: Una chiave per lo Zen, Ubaldini ed.)

Con instancabile serenità, e una semplicità disarmante, dedica la sua vita alla creazione di una cultura di pace, sostenuta dal principio universale dell’inter-connessione di tutto e tutti, a cui dà il nome di “inter-essere” .

La meditazione non è una fuga dalla società. Al contrario, è una preparazione al rientro nella società. Lo chiamiamo “ Buddhismo impegnato”. Quando venite a un centro di meditazione non potete pensare di esservi lasciati tutto dietro le spalle. Il dolore che avete dentro è il dolore che ha dentro la società. Portate con voi il dolore e portate con voi la società. Ognuno porta con sé tutti gli altri.” (da: Essere Pace, Ubaldini).

Nell’ incontro con l’Occidente è molto attento a non creare fanatismo né proselitismo, e insegna l’arte di entrare in contatto profondo con le proprie radici di sangue e spirituali.

Abbiamo bisogno di radici per poter essere stabili forti. Quando riconosciamo e rispettiamo i nostri antenati di sangue e i nostri antenati spirituali, nutriamo le nostre radici. Coltiviamo l’energia della comprensione profonda, che è il fondamento dell’amore. Nutriamo la felicità. Entrando profondamente in contatto con i tesori della nostra tradizione cominciamo a comprendere e apprezzare i valori delle altre tradizioni, e tutti ne traiamo beneficio.”

Nel gennaio del 2005, per la prima volta dopo 39 anni di esilio, Thay ritorna in Vietnam per una visita di tre mesi su invito del governo. E’ accompagnato da 100 monaci e 90 laici provenienti da diversi paesi. In occasione del Capodanno Lunare, Thay parla alle migliaia di laici riuniti nel tempio Phap Van, a Saigon, durante la guerra sede dell’ Università Van Hanh e della Scuola dei Giovani per il servizio sociale.

Per 39 anni sono stato come una cellula espulsa dal proprio corpo. Ma questa cellula non si è mai inaridita, perché ho sempre portato nel mio cuore tutti i desideri e le aspirazioni delle giovani generazioni. Anzi ho formato un SANGHA, molti Sangha in molti paesi, ho insegnato meditazione agli intellettuali occidentali. Molti giovani sono venuti ad imparare. Nel 1974 ho scritto “ Il Miracolo della presenza mentale”, una lunga lettera al fratello Quang insegnante nella Scuola dei Giovani per il Servizio Sociale, nel sud del Vietnam. Per ricordare l’importanza di seguire il proprio respiro, nutrire e mantenere una calma presenza mentale anche nelle situazioni più difficili.”

Su una parete del Tempio Phap Van, culla del “Buddhismo Impegnato”, in caratteri vietnamiti, è inciso il testamento spirituale di Thay per i suoi discepoli.

Il vento soffia ancora,

sai bambino mio ?

Ancora e ancora

Pioggia lontana

nuvola vicina,

Gocce di luce

Fondono

Cielo e Terra.

Io vado e vengo libero,

Essere, non-Essere,

Esistenza non-Esistenza

Ti prego, muovi i tuoi passi del ritorno

In Libertà .

Luna ora Nuova,

ora Piena.”

Voglio che il XXI secolo sia chiamato il secolo dell’amore, perché abbiamo disperatamente bisogno di amore, quel tipo di amore che non genera sofferenza. Se non abbiamo sufficiente gentilezza amorevole e compassione, non riusciremo a sopravvivere come pianeta.

Un sangha è una comunità di amici che praticano gli insegnamenti insieme allo scopo di generare e mantenere consapevolezza. L’ essenza di un Sangha è consapevolezza, comprensione,accettazione,armonia,e amore.

Nel vangelo di Matteo, (5:13) è detto : voi siete il sale della terra. Ma se il sale perde il suo sapore, con che cosa si potrà salare ?

Il cibo ha bisogno di sale per essere salato. La vita ha bisogno di comprensione,compassione e armonia per essere vivibile.”

( da Friends on the path, Parallax Press, 2002)

Il termine “buddhismo” proviene dal verbo sanscrito “budh”, che nelle scritture vediche significa “ conoscere la vera natura delle cose”, “risvegliarsi”. Colui/colei che conosce in profondità, che si risveglia, viene denominato “buddha”.

Il Buddha chiarì sin dall’inizio che tale risveglio può essere ottenuto solo con la pratica della via di consapevolezza nella vita quotidiana, non grazie allo studio o alle speculazioni filosofiche.

Il termine “zen” è la versione giapponese del termine sanscrito “dhyana” (cinese “chan”, che significa “meditare”, entrare in contatto con la natura profonda della realtà qui-ora.

Un filosofo chiese al Buddha:

Ho sentito dire che il buddhismo è la dottrina dell’illuminazione. Su quale metodo si basa? Che cosa praticate ogni giorno?

Camminiamo, mangiamo, ci laviamo, ci sediamo, parliamo…” rispose il Buddha.

Cosa c’è di così speciale nel fare queste cose? Chiunque è in grado di farle” disse il filosofo.

Signore, quando camminiamo siamo presenti e consapevoli che stiamo camminando, quando mangiamo siamo presenti e consapevoli che stiamo mangiando…..Quando la gente comune cammina, mangia, si lava, parla, generalmente non è presente a ciò che sta facendo.”

La buddhità non arriva dopo lunghe ore di meditazione. La pratica dello zen è mangiare, respirare, cucinare, pulire i gabinetti, infondere ogni gesto, parola e pensiero, di bellezza e poesia.

Raggiungere la verità non vuol dire accumulare conoscenza, significa invece risvegliarsi al cuore della realtà”.

(Stralci dalla lettera a Martin Luther King , 1 giugno 1965, da: Vietnam la pace proibita, Vallecchi editore , Firenze, 1967)

L’immolazione di monaci buddhisti nel 1963 è di comprensione piuttosto difficile per la coscienza cristiana dell’Occidente. La stampa parlò allora di suicidio, ma in realtà non si tratta di questo. E neanche di una protesta. Quello che i monaci hanno detto nelle lettere scritte prima di bruciarsi, mirava soltanto ad inquietare, a toccare il cuore degli oppressori, e ad attirare l’attenzione del mondo sulla sofferenza dei vietnamiti.

.Io credo con tutto il cuore che i monaci che si sono bruciati non miravano alla morte degli oppressori, ma soltanto ad un cambiamento della loro politica. I loro nemici non sono gli uomini. Sono l’intolleranza, il fanatismo, il dispotismo, la cupidigia, l’odio e la discriminazione che si trovano nel cuore degli uomini. Credo anche, con tutto il mio essere, che la lotta per l’uguaglianza e la libertà che state conducendo a Birmingham nell’Alabama non è diretta contro i bianchi, ma soltanto contro l’intolleranza, l’odio e la discriminazione. Sono questi i veri nemici dell’uomo, non l’uomo stesso.

Appello a Papa Paolo VI

(in occasione dell’udienza, 13 luglio 1966, da: Vietnam, la pace proibita, Vallecchi ed. 1967)

Nella comunità cattolica del Vietnam numerosi giovani sacerdoti e laici aspirano ardentemente alla pace, come la grande maggioranza del popolo vietnamita. Purtroppo essi non hanno nessun appoggio quando levano la loro voce. La dichiarazione di 11 sacerdoti vietnamiti il 1° gennaio 1966 era l’espressione fedele e pressante non solo della maggioranza dei cattolici ma di tutto il popolo vietnamita. Ma questa voce è stata soffocata dal regime militare sud vietnamita e anche da una frazione di cattolici che sono animati da sentimenti anticomunisti molto violenti al punto di identificarsi talmente con la politica di guerra americana che essi si sono in gran parte separati dal popolo.

Di tutto cuore chiedo a Sua Santità di aiutarci in questo momento difficile. Se Sua Santità potesse rivolgersi ai nostri fratelli cattolici vietnamiti consigliandoli di cooperare con gli altri gruppi religiosi del Vietnam per fermare questa guerra atroce, la forza spirituale potrebbe vincere la violenza

Se sua Santità potesse recarsi nel Vietnam sorgerebbe una nuova speranza per una soluzione di pace onorevole.”

Nhat Hanh ha lasciato il suo paese ed è venuto qui da noi per presentarci un quadro della situazione che non troviamo nei nostri quotidiani e periodici(…)Ma al suo ritorno in patria, che cosa accadrà a Nhat Hanh ? Non è certo nelle grazie del governo, che ha distrutto i suoi libri. Il Vietnam condannerà i suoi contatti con gli americani(…)Al suo ritorno può trovare la prigione, la tortura, perfino la morte. Non possiamo permettergli di andare incontro a quella sorte mentre noi stiamo qui a scaldarci al fuoco delle buone intenzioni e dei lodevoli sentimenti a proposito della guerra in corso. Noi che lo abbiamo visto e ascoltato, o abbiamo letto di lui dobbiamo chiedere ad alta voce che la sua vita e la sua libertà siano rispettate quando rientrerà in patria(…).

Nhat hanh è un uomo libero, che si è comportato da uomo libero, a vantaggio dei suoi fratelli, spinto dalla dinamica spirituale di una tradizione di pietà religiosa. Egli è venuto da noi, come di tanto in tanto hanno fatto altri, per testimoniare lo spirito dello Zen. Più di ogni altro egli ci ha dimostrato che lo Zen non è un culto di intima illuminazione, esoterico e ascetico, ma al contrario ha il suo eccezionale ed insostituibile senso di responsabilità nel mondo moderno.Ovunque sorreggerà Nhat Hanh la forza del suo spirito e l’isolamento del monaco Zen che vede oltre la vita e oltre la morte (…).

Ho detto mio fratello Nhat Hanh, ed è vero. Siamo ambedue monaci, abbiamo vissuto lo stesso numero di anni di vita monastica. Siamo ambedue poeti, ambedue esistenzialisti. Ho molto in comune con lui, ben più che con molti americani, e non esito ad affermarlo. E’ essenziale ammettere questi legami. Sono i legami di una nuova solidarietà e di una nuova fraternità che va delineandosi nei cinque continenti, al di sopra delle frontiere politiche, religiose, culturali, per congiungere i giovani di ogni paese in qualcosa che è più concreto di un ideale e più vivace di un programma. Questa unità dei giovani è la sola speranza del mondo(…).

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