Rilassamento profondo “Insegnamenti dal corpo”

[Alcune indicazioni per la pratica del rilassamento profondo: sdraiamoci sul dorso… ]

Chiudiamo gli occhi; se abbiamo la tendenza ad addormentarci, invece, sarà meglio tenerli aperti, con lo sguardo sfocato.

Inspirando ed espirando, prendiamo consapevolezza di tutto corpo, sdraiato. Sentiamo tutte le zone che toccano il pavimento o il materassino: i calcagni, la parte posteriore delle gambe, le natiche, la schiena, le braccia, il dorso delle mani, la parte posteriore della testa. A ogni espirazione, sentiamo sempre di più il sostegno del suolo – la Madre Terra – espresso con la morbidezza del materassino, e ci abbandoniamo con fiducia, rilasciando ogni tensione. Espirando, lasciamo andare il peso del corpo attraverso i punti d’appoggio, liberandolo a terra.

Prendiamo consapevolezza dell’inspirazione e dell’espirazione, così come sono, senza modificarle. Inspiro e sento alzarsi la pancia, espiro e la sento abbassarsi. Seguiamo il respiro per qualche momento.

Ora prenderemo consapevolezza delle varie zone del corpo, seguendo la voce che guida la meditazione. Se per qualche dopo un po’ di tempo ci dovesse risultare e difficile o doloroso restare sdraiati supini possiamo cambiare posizione, lentamente e mantenendo la piena consapevolezza del movimento e del corpo, girandoci su un fianco o proni.

Prendiamo consapevolezza dei piedi. Inspirando, percepisco entrambi i piedi; espirando sorrido loro. Li ringrazio di portarmi di qua e di là, con la loro meravigliosa e complessa struttura di ossicini e articolazioni; di solito diamo loro poca importanza, magari li rinchiudiamo in scarpe poco adatte a loro; invece in noi esseri umani, che siamo gli unici mammiferi in stazione eretta, i piedi riescono da soli a fare da base e a dare movimento all’intero corpo: decine e decine di chili in verticale su una struttura così piccola, eppure così efficiente. Quali che siano le loro condizioni del momento, i piedi ci insegnano la mobilità, la capacità di non restare bloccati su quel che siamo e che conosciamo, la capacità di muoverci per esplorare e abitare il nostro mondo, di andare incontro agli altri esseri e fenomeni. Inspirando provo gratitudine per i miei piedi, per quello che sono e per quello che mi insegnano, espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Porto ora la mia consapevolezza a risalire per i polpacci, rilassandoli e sentendoli morbidamente accolti dal materassino. Inspiro – consapevolezza dei polpacci – espiro – rilasso. Arriviamo ora alle ginocchia. Le ginocchia mi permettono di camminare in scioltezza, di salire e scendere le scale, di sedermi e alzarmi da una sedia, di inginocchiarmi o prosternarmi nella pratica religiosa. Possiamo considerarle il simbolo della flessibilità. Care ginocchia, che io possa imparare da voi la disponibilità, la capacità di assumere la posizione appropriata al luogo e al momento, di flettermi o di reggermi eretto, di mantenermi in equilibrio nei terreni accidentati. Come ogni cosa, anche loro, nel nostro organismo sono soggette a usura e a invecchiamento e richiedono attenzione e cura; che io possa essere sempre più flessibile, capace di adattamento e di equilibrio via via che loro perderanno di flessibilità riducendo le loro e mie possibilità di movimento. Inspirando provo gratitudine per le mie ginocchia, per quello che sono e per quello che mi insegnano; espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Risalgo ora con la mente su per le gambe. Sento i muscoli delle cosce, che sono i più robusti e voluminosi di tutto il corpo, e in mezzo a loro visualizzo i femori, che sono a loro volta sono le ossa più lunghe e robuste di tutto il corpo. Dai miei femori ho molto da imparare: la forza, la solidità, innanzitutto. Una robustezza e una solidità non rigida, ma fatta di una struttura organica e viva che si rinnova di continuo – come tutte le ossa in genere – con una zona centrale più spugnosa capace di generare cose preziose: i globuli rossi. Forza, robustezza e solidità – ma che si rinnovano di continuo e capaci, al nocciolo, di generare vita: davvero un insegnamento prezioso, quello che mi viene dai miei femori! Cari femori, che io possa imparare da voi queste qualità; e che sia capace di prendermi cura di voi con l’alimentazione giusta e la giusta attività fisica perché le possiate conservare a lungo. Inspirando provo gratitudine per i miei femori, per quello che sono e per quello che mi insegnano; espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Ora porto la consapevolezza su per il corpo, rilassando ogni tensione e lasciandolo di nuovo ben affondare nel materassino a ogni espirazione. Prendo consapevolezza della mia pancia e degli organi che racchiude, del sistema digerente: stomaco, fegato e intestino. Insieme, questi organi sono in grado di elaborare ciò che ricevono, cibo e bevande, e assorbire tutti gli elementi nutritivi; sanno lasciar andare quello che non serve all’organismo, in modo da non appesantirlo inutilmente; e sanno anche identificare quello che potrebbe essere nocivo ed espellerlo. Identificare, selezionare, assorbire, eliminare: davvero ho molto da imparare dal mio sistema digerente. Posso imparare a essere consapevole degli stimoli che mi arrivano, a identificare quanto c’è di salutare e nutriente – affetti, avvenimenti, esperienze e insegnamenti che mi possono nutrire e far crescere – e ad assorbirli; posso imparare anche a identificare gli stimoli che sono nocivi, i “veleni” come le immagini e le situazioni che mi possono intossicare o che mi ingombrano inutilmente, e a lasciarli cadere, oppure se li ho ingeriti a eliminarli. Inspirando provo gratitudine per il mio sistema digerente, per quello che è e per quello che mi insegna; espirando sorrido e gli invio il mio affetto e la mia cura.

Inspirando sono consapevole che sto inspirando, espirando sono consapevole che sto espirando: i miei polmoni, ora, vengono al centro della mia consapevolezza. Per qualche momento mi limito a osservarne l’attività: si riempiono – si svuotano. Seguo tutta la durata dell’inspirazione – tutta la durata dell’espirazione – da dentro, identificandomi per un attimo con i miei polmoni. Sono come due grandi spugne che si espandono e comprimono dal nostro primo respiro, appena nati, fino all’ultimo respiro in punto di morte, scambiando i gas della vita – l’aria ricca di ossigeno che entra, l’aria satura di anidride carbonica che esce. Sono una vasta superficie di scambio, i miei polmoni: insieme alla pelle sono la mia zona di confine, il punto in cui il mio essere tocca il “fuori “. Sono capaci di inspirare l’aria pura di montagna come l’aria inquinata del centro della città, di inalare il fumo del sigaro del vicino come l’aria frizzante del primo mattino, quella satura d’acqua di una sauna – o di un monsone – e quella secchissima delle giornate ventose in inverno: loro continuano il loro scambio, pacati e fiduciosi: dentro, fuori…. Inspiro, espiro…. Possono respirare lentissimi, in meditazione, e scambiare velocemente grandi quantità d’aria, se necessario, come durante una corsa o un parto. Anche dai miei polmoni ho molto da imparare: il contatto – il contatto aperto e fiducioso; l’adattabilità; la costanza. Mi rendo conto di quanto siano preziosi e mi impegno a rispettarli e a non metterli in difficoltà con contatti troppo traumatici o tossici: aria gelata, fumo, inquinamento.Inspirando provo gratitudine per i miei polmoni, per quello che sono e per quello che mi insegnano; espirando sorrido e invio loro il mio affetto e la mia cura.

Dai polmoni, ora porto la consapevolezza al cuore. Per qualche momento cerco di percepirne il battito, con attenzione e affetto. Il mio cuore non ha mai smesso di battere, fin da quando ero ancora nella pancia della mamma. Potrà modificare il ritmo, se ci sono condizioni che lo stimolano o lo rallentano (una febbre – salire le scale – un innamoramento – la pratica meditativa – il sonno – una malattia) ma non fa mai soste prolungate, non va mai in ferie. Anche dal mio cuore ho molto da imparare: le doti del maratoneta. La resistenza; la costanza; la capacità di compensazione; l’affidabilità. Davvero abbiamo di che essere grati al cuore, ogni mattina quando apriamo gli occhi: mentre dormivamo lui è andato avanti a pompare, solo un po’ più lentamente, e questo gli è bastato per riposarsi. I gadget e le decorazioni infantili ne hanno fatto un’immagine un po’ frivola e vuota, tutt’altro, è una parte di noi da cui abbiamo molto da imparare. La costanza – nella pratica, per esempio; l’affidabilità, che fa sì che gli altri possano far conto su di noi; l’elasticità, la capacità di alternare contrazione e distensione; e le “doti di cuore” che nella nostra cultura sono associate ai sentimenti più profondo. Inspirando provo gratitudine per il mio cuore, quali che siano le sue attuali condizioni, per quello che è e per quello che mi insegna; espirando sorrido e gli invio il mio affetto e la mia cura.

Anche la cassa toracica merita ora la mia consapevolezza. Costole, sterno, clavicole: un sistema insieme robusto e mobile, che abbraccia e protegge organi delicatissimi ed essenziali come i polmoni e il cuore. Sa dare sostegno e protezione allo stesso tempo lasciando libertà di movimento, libertà d’azione; la sottovalutiamo finché non ci facciamo male a una costola, solo allora scopriamo quanto movimento richiede alla cassa toracica respirare, tossire, ridere, starnutire, cantare, parlare. Inspiriamo ed espiriamo alcune volte, riempiendo bene i polmoni e poi svuotandoli del tutto, e prendiamo consapevolezza di quanto sia mobile la nostra cassa toracica. Ora invece respiriamo in maniera più sottile e leggera, lasciando che il respiro avvenga da sé. Che cosa ci insegna la nostra cassa toracica? È un insegnamento prezioso per i genitori, gli insegnanti, tutti coloro che si trovano a contatto con i bambini e i giovani: proteggere e contenere in modo sicuro e insieme elastico, senza costringere, senza limitare. Inspirando provo gratitudine per la mia cassa toracica, per quello che è e per quello che mi insegna; espirando sorrido e gli invio il mio affetto e la mia cura.

Ora prendo contatto con gli organi o le parti del corpo che in me hanno qualche difficoltà o debolezza, che hanno bisogno di cure. Tramite loro, imparo a fare amicizia con l’imperfezione, la debolezza, la fragilità.

Inspirando, riconosco le pari più fragili del mio corpo, espirando sorrido loro con amorevolezza, determinata a prendermene cura…

Inspirando riconosco le parti più robuste e sane del mio corpo, espirando sorrido loro con gratitudine. Grazie di aiutare tutte le mie parti più deboli o che in questo momento sono in difficoltà, offrendo loro il sostegno che corrisponde alla vostra natura specifica, al meglio delle vostre possibilità, integrando le loro funzioni quanto possibile, oppure accogliendo e utilizzando al meglio i farmaci che le aiutano a recuperare la salute.

Provo gratitudine sia per gli organi del mio corpo che sono in difficoltà sia per quelli più sani e in buone condizioni. Da tutti loro ho da imparare. In un bosco ci sono alberi più sani e robusti e alberi più deboli, che patiscono l’attacco dei parassiti o il vento o i fulmini, e non per questo il bosco è meno bello e completo; così è anche nel mio organismo, come in quello di ognuno di noi. Prendo consapevolezza di quanto sia preziosa questa mia esistenza sotto forma umana e quanto ogni forma di vita sia impossibile senza la cooperazione e l’armonia.

Infine porto la mia consapevolezza alla testa. Rilasso il cervello nella scatola cranica. È un organo prezioso da cui dipendono in buona parte tutti gli altri, la parte più delicata e sottile e misteriosa e ammirevole. Se apro le palpebre è perché una piccola parte del mio cervello lo consente, se ricordo l’espressione di mio nonno è perché un’altra parte del mio cervello ha proprio questa funzione, se gusto un buon sapore o ascolto o parlo è perché il cervello me lo consente, con funzioni complicatissime che si compiono in frazioni di secondi. Possiamo aprirci al mistero di ciò che non conosciamo, in noi come nell’universo, con lo stupore dei bambini, e lasciare che il cervello si rilassi, abbandonando tutto il suo peso con delicatezza nel suo nido, la scatola cranica. In questo momento non devo decidere, valutare, progettare, risolvere niente: c’è solo il respiro che entra e che esce, il mio e quello dei compagni di pratica tutt’intorno, in uno spazio e un tempo sicuro e protetto. Posso dire al mio cervello: “Con gratitudine, caro cervello, inspirando ti lascio riposare; espirando ti sorrido.”

Mantengo questo stato di consapevolezza rilassata ancora un poco, per seguire i tre suoni di campana che segnano il termine della pratica.

[campana, poi indicazioni per uscire gradualmente dal rilassamento profondo. ]

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