Le ragioni per cui Thay ha tradotto di nuovo il Sutra del Cuore

Cara Famiglia,
il motivo per cui Thay ha sentito la necessità di tradurre di nuovo il Sutra del Cuore è che il Patriarca che in origine ha trasmesso il sutra per iscritto non è stato abbastanza abile nell’uso del linguaggio, causando così molti equivoci nel corso di circa duemila anni.

Thay desidera condividere con tutti voi due storie: la storia di un monaco novizio che era andato a far visita a un maestro Zen e la storia di un Bhikkhu (un monaco) che era andato a interrogare il celebre Maestro Tue Trung.

1.

Nella prima storia, il maestro Zen chiese al monaco novizio:
“dimmi, qual è la tua comprensione del Sutra del Cuore?”
Il novizio giunse le mani e rispose: “Ho compreso che i cinque skandha sono vuoti. Non ci sono occhi, né orecchie, né naso, né lingua, né corpo né mente. Non ci sono forme, né suoni, né odori, né sapori, né sensazioni, né oggetti mentali; le sei coscienze non esistono, i diciotto regni dei fenomeni non esistono, i dodici anelli della genesi interdipendente non esistono, persino la saggezza e la realizzazione non esistono.”
“Credi a ciò che dice il Sutra?”
“ Sì, certamente credo a ciò che dice.”

“ Avvicinati”, ordinò il maestro Zen al novizio.
Quando il novizio si fu avvicinato, subito il maestro Zen gli prese il naso fra il pollice e l’indice e glielo strinse, torcendolo. Tutto dolorante il novizio si mise a urlare: “Maestro, mi fai male!” Il maestro Zen guardò il novizio. ”Hai appena detto che il naso non esiste. Se il naso non esiste, che cosa mai ti fa male?”

2.

Il celebre Maestro Tue Trung era un maestro Zen laico che in passato era stato mentore del giovane Re Tran Nhan Tong, nel Vietnam del tredicesimo secolo. Un giorno un Bhikkhu andò a fargli visita per interrogarlo sul Sutra del Cuore.

“ Rispettabile Nobile Maestro qual è il vero significato della frase “ la forma è vuoto, il vuoto è forma” ?
Dapprima il Nobile Maestro restò in silenzio. Poi, dopo un po’, chiese : “Bhikkhu, tu hai un corpo?”
“Sì, certo.”
“ E allora, perché dici che il corpo non esiste?”
Il Nobile Maestro continuò: “Secondo te, nello spazio vuoto c’è la forma?”
“No, non vedo che ci sia la forma.”
“Allora perché dici che il vuoto è forma?’
Il Bhikkhu si alzò, si inchinò e uscì. Il Maestro però lo richiamò indietro, per potergli recitare la seguente gatha:
La forma è vuoto, il vuoto è forma
è un mezzo abile creato temporaneamente dai Buddha dei tre tempi.
Il vuoto non è forma, la forma non è vuoto.
La loro natura è sempre pura e luminosa, non è limitata né dall’essere, né dal non-essere.

In questa storia sembra che il Nobile Maestro Tue Trung contraddica il Sutra del Cuore e metta in dubbio la sacra formula “ la forma è vuoto e il vuoto è forma”, considerata inviolabile in tutta la letteratura della Prajñāpāramitā .

Thay ritiene che il Nobile Maestro sia andato troppo lontano. Il Maestro non aveva saputo vedere che l’errore non risiede nella formula “ la forma è vuoto”, ma nell’espressione non abile: “quindi nel vuoto non c’è forma”. Secondo Thay l’uso delle parole nel Sutra del Cuore è perfetto dall’inizio fino al verso che dice: “né nascita, né morte, né contaminato né immacolato, né aumenta né diminuisce”.
Thay si rammarica solo del fatto che il patriarca che per primo ha trasmesso il Sutra del Cuore per iscritto non abbia aggiunto le quattro parole “ né essere, né non essere” immediatamente dopo le quattro parole “ né nascita, né morte”, perché queste quattro parole ci aiuterebbero a trascendere la nozione di essere e non-essere, e quindi non saremmo più intrappolati in idee come “né occhi, né orecchi, né naso, né lingua…”
Il naso del monaco novizio fa male ancora oggi. Capite?

Il problema inizia con il verso: “Ascolta, Shariputra: per questo nel vuoto non c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza.”
(in Sanscrito TasmācŚāriputraśūnyatayāmnarūpamnavedanānasamjñānasamskārānavijñānam)
Che strano! Prima si era affermato che il vuoto è forma e la forma è vuoto, ora invece si dice il contrario: c’è solo il vuoto, non c’è corpo. Questa frase del Sutra può generare molti fraintendimenti dannosi: cancella tutti i fenomeni dalla categoria dell’“essere” e li mette nella categoria del “non-essere” (né forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza…). Eppure la vera natura di tutti i fenomeni è quella di né essere né non-essere, né nascere né morire. Il punto di vista dell’“essere” è un punto di vista estremo, così come il “non-essere” è un altro punto di vista estremo.
È proprio a causa di questa espressione non abile che il naso del monaco novizio fa ancora male.

Anche la famosa gatha attribuita al sesto patriarca Hue Nang (Hui-Neng) quando presentò la sua visione profonda al quinto patriarca Hoang Nhan (Hung-Jen), esprime questa idea ed è intrappolata nella preda della medesima visione erronea.

“In origine, non c’è alcun albero della Bodhi,
né esiste alcuno specchio lucente.
Dal non-inizio del tempo non è mai esistito nulla,
dunque dove può mai posarsi la polvere?”
Passa una nuvola bianca e oscura l’entrata della caverna,
per cui tantissimi uccelli non trovano più la strada di casa.

La visione profonda della Prajñāpāramitā è per eccellenza la più liberatoria delle visioni, che ci aiuta ad andare oltre tutte le coppie di opposti come nascere e morire, essere e non-essere, immacolato e contaminato, crescere e decrescere, soggetto e oggetto, e così via, e ci aiuta ad entrare in contatto con la vera natura del “né nascere né morire”, “né essere né non-essere”, eccetera, che è la vera natura di tutti i fenomeni. È uno stato di tranquillità, di pace, di non-paura che possiamo esperire proprio in questa vita, nel nostro corpo, nei nostri cinque skandha. È il nirvana. Come gli uccelli gioiscono nel cielo e i cervi gioiscono nei prati, così i saggi gioiscono dimorando nel nirvana. Troviamo questa splendida frase nel capitolo sul Nirvana nel Dharmapada Cinese.
La visione profonda della Prajñāpāramitā è la verità ultima che trascende tutte le verità convenzionali. È la visione più alta trasmessa dal Buddha. Qualsiasi paragrafo del Tripitaka, perfino nella più suggestiva delle tante versioni della Prajñāpāramitā che vi sono raccolte, se contraddice questa visione è ancora invischiato nella verità convenzionale. Purtroppo nel Sutra del Cuore troviamo un simile paragrafo, anche piuttosto lungo.

Ecco perché in questa nuova traduzione Thay ha modificato il modo di in cui le parole sono state usate sia nella versione originale in sanscrito che in quella cinese di Huyen Trang (Xuan-Zang). Thay traduce così :
“Ecco perché, nella vacuità, corpo, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza non sono entità con un “sé” separato.” Tutti i fenomeni sono prodotti da origini interdipendenti : questo è il punto centrale di tutto l’insegnamento della Prajñāpāramitā . “Persino la profonda comprensione e la realizzazione non esistono come entità con un sé separato”. Questa frase è altrettanto importante della frase “la forma è vuoto”. Thay ha anche aggiunto “ né essere né non-essere”, al testo.
“Né essere né non-essere” è la profonda visione del Buddha dichiarata nel sutra di Kātyāyana, quando egli offrì una definizione della “retta visione”. Queste quattro parole “ né essere né non-essere” aiuteranno le generazioni future a non soffrire la pena di un naso ritorto.

Il Sutra del Cuore era destinato ad aiutare i seguaci della scuola Sarvāstivāda abbandonare
l’idea della non esistenza del sé e dei fenomeni. L’insegnamento più profondo della Prajñāpāramitā è nella vacuità del sé (ātmaśūnyatā) e nella vacuità dei fenomeni (dharmanairātmya) e non nel non-essere del sé e dei fenomeni. Nel Sutra di Kātyāyana il Buddha ha insegnato che la maggior parte delle persone nel mondo sono catturate dall’idea dell’essere o del non-essere. Perciò la frase “nel vuoto non c’è forma, né sensazioni…” è chiaramente ancora radicata nell’idea del non-essere. Perciò questa frase non corrisponde alla verità ultima.
“Vuoto di sé” significa soltanto la vacuità del sé, non significa “il non-essere del sé”, proprio come dire che un pallone è vuoto non significa che il pallone non esista. Lo stesso dicasi per il “vuoto di dharma” (fenomeni): significa solo la vacuità di tutti i fenomeni, non significa la non-esistenza dei fenomeni. È come un fiore che è fatto soltanto di elementi di non-fiore: il fiore è vuoto (privo) di un’esistenza separata, ma questo non significa che il fiore non esista.

Il Sutra del Cuore è apparso tardivamente, in un’epoca in cui il Buddismo Tantrico cominciava a fiorire. Il Patriarca che ha compilato il Sutra del Cuore voleva incoraggiare i seguaci del Buddismo Tantrico a praticare e recitare il Sutra del Cuore, perciò lo ha presentato in forma simile a un mantra. Anche questo era un mezzo abile. Thay ha usato la frase “ La visione profonda che ci conduce all’altra riva” perché nel mantra c’è l’espressione “pārāgate” che significa “ andato, passato all’altra riva, la riva della saggezza”.
Le parole pārāyana e pārāmitā sono state tradotte entrambe come “ attraversare [il fiume] verso l’altra sponda”.
Anche nel Sutta Nipāta c’è un capitolo intitolato Pārāyana che è stato tradotto a sua volta come “attraversare verso l’altra riva”.
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Cara Famiglia,
spero che tutti voi siate felici di praticare la nuova versione del Sutra del Cuore.
Abbiamo la traduzione in inglese e il fratello Phap Linh è in procinto di comporre la musica per il nuovo canto. La prossima edizione del Libro dei Canti includerà questa nuova traduzione.
Ieri, 21 agosto, dopo aver terminato la traduzione circa alle tre di notte, un raggio di luna
è entrato nella stanza di Thay.

Con amore e fiducia,
il Vostro Maestro

Istituto Ashoka, EIAB
Waldbröl (Germania)

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